“La piccola chiesa odorava di muffa e medioevo. Non più della cera fusa delle candele, come doveva essere stato in altri tempi, quando la montagna era più popolata e la sua gente si fermava per ringraziare Qualcuno al termine di una giornata fatta di salite, discese e lavoro e ancora salite e fatica.
La chiesa era là, nel punto più alto, al culmine estremo di queste giornate, costruita forse più con l’intento di offrire un luogo in cui tirare il fiato che con quello di nutrire le anime”…IN QUESTA PAGINA:
• Presentazione • Cosa pensano di “Dietwald” • Le immagini di “Dietwald” • Acquista il libro
PRESENTAZIONE
ISBN Libro: 9788892351264
Edizione: 2
Anno pubblicazione: 2018
Formato: 20,5×28,5
Foliazione: 120
Copertina: morbida
Interno: colore
Prezzo: € 29.00
“Il gioco consiste nell’inventare e nell’illustrare una storia collettiva; può essere stimolato da un apposito mazzo di carte preparato dall’animatore incollando su una cinquantina di cartoncini figure e immagini varie ritagliate da giornali o da riviste. La lettura di queste immagini è sempre diversa perché ciascuna carta del mazzo è collegabile con la precedente solo per libera associazione d’idee o comunque mediante un gioco di fantasia. (…)” [1]
Mentirei affermando – come avrei voluto – che tutto è cominciato con l'”ascolto” dell’immagine pubblicata in copertina (o, meglio, delle immagini: una per edizione).
Tutto è cominciato, invece, osservando altre mie fotografie, non sempre le migliori, ma parte di quelle alle quali sono più affezionato perché sanno creare un dialogo (o almeno, a me, sembra così). Mi sono soffermato su di esse e ho cercato di “ascoltare” ciò che avevano da raccontare. Tutto qui.
Un gioco all’apparenza bizzarro – ispirato alla tecnica delle “carte in favola” di Franco Passatore – e ripetibile all’infinito con altrettanti risvolti e sviluppi: a chiunque le guardi, queste immagini (come qualsiasi altra) raccontano storie sempre diverse.
Per questo motivo il libro è impaginato in modo tale da permettere ad ogni lettore di “ascoltare” la propria storia, per poi confrontarla con la mia e accorgersi – ovviamente – che è del tutto diversa (meraviglie della creatività umana!).[2]
Un gioco con me stesso e con il lettore, dunque, come tante volte ho sperimentato – nella mia abituale veste di educatore – con i miei ragazzi e le mie ragazze. Uno splendido esercizio mentale.
Le immagini (in gruppi di una, due o tre) mi hanno raccontato storie di personaggi più o meno “ordinari”, proiettati in “realtà altre”, mondi paralleli costruiti attorno alle mie ansie e alle mie speranze, ai miei demoni e ai miei dèi – come direbbe Lucia -, cavalcando spudoratamente la fantasia, spaziando dalla fiaba al gotico, dal fantastico al grottesco, lungo un cammino per il quale mi è parso di incontrare Italo Calvino come Edgar Allan Poe, Tiziano Sclavi come i fratelli Grimm, Howard Phillips Lovecraft come Franz Kafka.
Ma fra tanti maestri/ispiratori non voglio certo dimenticare la grande scuola della strada e quella degli utenti dei mezzi pubblici (dei quali mi onoro di far parte e ai quali mi è parso doveroso dedicare “Giobbe”…), con i loro discorsi incazzati e talvolta teneri, spesso divertenti e molte volte paradossali, irriverenti, ironici, surreali, amari.
Sette storie minime (se non addirittura minimaliste) e un epilogo che raccontano sette personaggi (che si fanno otto per non escludere l’Autore) quasi sempre battezzati spudoratamente con nomi o soprannomi che per etimologia, assonanza o convenzione fanno presagire o risaltare i rispettivi destini. Solo Dietwald si sottrae a questa regola.
Sette storie perché, secondo la numerologia, il 7 è numero che predispone all’introspezione, all’osservazione, alla profondità e alla riflessione, mentre se si vuole considerare l’epilogo come ottava storia, ecco il numero 8, universalmente considerato numero dell’equilibrio cosmico. Anche se, a pensarci bene, considerazioni di questo tipo sono forse un po’ azzardate se inquadrate dalla manifesta piccolezza del lavoro.
Sette storie di personaggi slegati tra loro, accomunati solo da una sottile vena ironica (che neanche i momenti più drammatici riescono ad affievolire), “incastrati” in un meccanismo nel quale ogni elemento (parola o immagine) preso a sé non ha quasi importanza, ma che prende vita nel momento in cui le varie parti che lo compongono entrano in sinergia. Senza dimenticare le figure che sarebbe ingiusto definire “minori”, facendo parte a pieno titolo dell’intero meccanismo, giocandosi spesso il ruolo con l’interprete principale.
È così che torniamo al principio: l’immagine di copertina.
È l’unica che apparentemente non racconta alcuna storia, anche se in realtà quegli intrecci che saltano all’occhio le raccontano tutte: si è quasi “scelta da sé” alla fine della stesura dei testi, e credo che – tra le varie simbologie che mi sono divertito ad inserire in questo lavoro pur non inseguendo nessun fine cabalistico od esoterico – sia stata una scelta efficace.
Questa è la Verità. O, almeno, una possibile verità…
[1] “Mettiamo le carte in favola”, in Franco Passatore, Silvio Destefanis, Ave Fontana e Flavia De Lucis, “IO ERO L’ALBERO, TU IL CAVALLO” (Guaraldi, Bologna, 1972). Citato in Gianni Rodari, “GRAMMATICA DELLA FANTASIA” (Piccola Biblioteca Einaudi, Torino, 1973)
[2] Lo schema di impaginazione scelto permette al lettore anche di staccare le immagini per ritagliarle, incorniciarle, appenderle o, eventualmente, bruciarle (moto dell’animo del tutto comprensibile)
COSA PENSANO DI “DIETWALD”
Com’è reale questa fantasia…
di Carla Di Russo, 07 dicembre 2012
Qualcuno potrebbe obiettare che non si fa un libro di racconti con solo otto racconti (anzi, come sottolinea l’Autore stesso, “sette racconti più uno”). Altri potrebbero a loro volta contestare un libro fotografico con solo quindici immagini (e qui verrebbe da dire “quindici più una”, considerando il bell’ingranaggio della copertina).
Ma questo non è un libro di racconti né un libro fotografico: è un progetto molto originale basato su una ben precisa idea di interazione con il lettore. Le immagini servono a stuzzicare la fantasia, cosa rara in un’epoca nella quale siamo talmente sommersi e ossessionati dalle immagini da non riuscire ad assaporarne anche solo per un momento i significati, la validità e la consistenza in termini artistici o psicologici.
Qui l’autore, invece, mette noi lettori di fronte ad una serie di rappresentazioni fotografiche e ci costringe in qualche modo a porci a confronto con esse, quasi con aria di sfida, come per dirci: “ecco, io l’ho fatto. Voi sareste capaci di fare altrettanto?”
Lui l’ha fatto realmente, riuscendo a costruire attorno ad immagini apparentemente slegate delle storie compiute, assolutamente fantasiose, ma guizzanti di momenti drammatici alternati ad altri più lievi se non addirittura comici e comunque sempre impregnati di un forte realismo.
Leggendo questi racconti quasi non ci si rende conto dell’impossibilità degli accadimenti, perché procedendo nella lettura non si riesce ad evitare un coinvolgimento personale, ad identificarsi in questo o quel personaggio che, pur nell’assurdità degli eventi che stanno vivendo, testimoniano sempre una profonda umanità, problemi di ogni giorno, sentimenti di tutti.
La giovane Rossella non è né più né meno che una “normale” adolescente: conta relativamente il fatto che sua nonna si sia trasformata in una porta, come Ugo, lo scemo del villaggio, non è che uno dei tanti personaggi coloriti e veri di tanti piccoli borghi o di tanti quartieri urbani, a cui la malvagità e l’ossessione di potere non riescono a scalfire la dolce mitezza.
E non ci siamo, forse, un po’ tutti nella sottile perfidia di Sakakawea, nell’irrequietezza di Diogene, nel peterpanismo di Giobbe e nella delusione amorosa di Lucia?
Questo piccolo libro, così pieno di “normalità” e al tempo stesso di sfrenata fantasia, non può non farci pensare che a questo punto della sua vita l’autore abbia veramente incontrato Dietwald, l’Idea.
Dietwald, l’”Idea”
di Marilù Domenici, 14 gennaio 2013
Questi racconti rappresentano ognuno un percorso verso la ricerca di se stessi.
Raffaele gioca con ironia e fantasia, gioca con le immagini (e in questo è maestro) spesso irreali altre volte surreali e con le parole (e ci invita a farlo), miscelando il tutto come un abile alchimista e non si sa bene cosa riesca a trasportarci meglio in questa dimensione di fiaba per adulti che sembra avere il compito – come ogni fiaba che si rispetti – di farci riflettere, di impaurirci e di incuriosirci.
Incidere con un chiodo il nome di Dietwald sul sarcofago che ne conteneva le spoglie, equivale per il protagonista (il ruolo se lo contende con Dietwald che già si onora del titolo del libro) del primo racconto-immagine a prendere coscienza dell’”idea” che alberga in lui.
Diogene troverà se stesso solo dopo aver provato la paura e l’angoscia (condivise durante la lettura), sentimenti con i quali bisogna misurarsi e senza i quali nessuno può dirsi veramente in equilibrio. Rossella mi è piaciuta da subito, ho giocato pensando a Cappuccetto Rosso, scoprendo poche righe avanti che è Cappuccetto Rosso (contemporaneo) e da insegnante non mi è sfuggito tutto quello che vi è racchiuso e che ognuno di noi, leggendo, scoprirà.
Giobbe si muove nel quarto racconto con incauta impazienza…, ma l’amore trionfa su tutto e io mi sono deliziata.
Il quinto corto – Sakakawea – come gli altri inizia con una foto e poi ne segue un’altra, provo a immaginare e quasi non mi sorprendo del racconto, ormai sto diventando abile nel gioco. Certo Ugo non è stato così immediato da capire, c’erano indizi fuorvianti e lui talmente candido da rendere la storia più inquietante.
Infine l’ultimo corto è come una folgorazione, mi inquieta più degli altri, per via del nome della protagonista Lucia e delle sue doti divinatorie, ma non è il caso di approfondire.
Ho completato la lettura e più che altro è come se avessi concluso una partita a scacchi, intrapresa non solo con l’autore, ma anche con i sette protagonisti della raccolta (mi sento comunque in situazione di stallo, come uno scrittore che non ha ancora liberato, compreso l’”idea”). Una partita che è stata svago, che mi ha incuriosito, indotta alla riflessione, che ha sollecitato la mia voglia di giocare, ma soprattutto perché per qualche ora ho volato con le magiche ali della fantasia.
Se inoltre si tiene in considerazione che il tutto è ben scritto e supportato da conoscenze non sfacciatamente svelate, che i personaggi sono pulsanti e trascinanti, le atmosfere calibrate al punto giusto e sanno ben inquietarci o muoverci al riso (sì, anche), che…
Quante altre ragioni ci possono volere per leggere un libro? Mi chiedo ancora, perché ci ho messo tanto a tempo a leggerlo, se poi l’ho divorato?
Dimenticavo: complimenti!
Giuseppe Bretta: Idea interessante. Bella
Giovanni Battista Zumpano: Devo fare i miei complimenti al prof. Raffaele Corte perché coniugando l’arte, la creatività, l’immaginazione, ha messo in evidenza per mezzo dei suoi personaggi sfaccettature interessanti di quel gioco misterioso ch’è la vita. L’autore asserisce che i suoi racconti sono un gioco bizzarro, uno splendido esercizio mentale, a mio avviso cerca il confronto con l’immaginazione degli altri personaggi usando la sua capacità creativa, cerca di capire il suo credo, rispondere agli interrogativi della sua mente attraverso l’immagine, la fantasia, l’ ispirazione. Non a caso, l’autore ha scelto una chiesa culla del mistero quale luogo d’incontro di Dietwald con gli altri, questo confrontarsi dà a ciascuno la possibilità di capire la grandezza della mente umana, del pensiero che non ha spazi né confini.
Antonio Pizzoni: “…maledetti svedesi…” l’avara prefazione non permette di capire molto…ma la presentazione, le foto…in particolare il volto sul sarcofago facilitano e introducono alla narrazione…ma pi\u00f9 fra tutti utilizzerò la terza massima leggibile nelle prime pagine… mi servirà utilizzandola come una chiave di volta per capire…quasi tutto…”stare al gioco”…l’educatore emerge nell’estrema sintesi…la maestria narrativa non permette distrazioni o dissociazioni…solo assemblaggi di pensieri…di forte impatto comunicativo…
Antonello Pellegrino: Immagini che si trasformano in parole, e parole che trasmettono le immagini di una narrazione pulita, coinvolgente e penetrante. Molto bello davvero
Nadia Bertolani: Nel primo racconto, ben scritto e suggestivo, le immagini costituiscono il punto di partenza dell’avventura narrativa. Il tema dell’identità, il tema dell’importanza del nome e il tema dei limiti che un uomo può o deve oltrepassare sono oggetto del bel dialogo tra i due personaggi: quello giovane, stanco e infreddolito, e l’altro…
Marilù Domenici: Il primo racconto si apre con una descrizione del paesaggio piana e appena velata di mistero, ma dura un attimo, perché ben presto un’atmosfera gotica investe il lettore e il protagonista che deve vedersela con un alter ego in pietra che l’intimorisce, lo sovrasta e infine gli aprirà la mente.
Antropoetico: L’autore, in modo brillante, estrapola dei racconti partendo da una serie di foto. Un modo originalissimo per “creare” delle storie, un esercizio di psiche che finisce per sfociare inevitabilmente nella fantasia. Nell’anteprima evidenzia come dalle stesse foto un altro osservatore può estrarre il suo personale contesto narrativo. Formativo, intrigante, davvero un bel progetto. Complimenti!
Gianni Lorenzi: L’esperimento di stimolo creativo è interessante, ma a parte questo, trovo che il primo racconto inizi nel migliore dei modi, con la giusta suspence, una buona dose di creatività e un’ottima prosa, ben armonizzata e precisa nelle descrizioni. Le immagini hanno trovato i personaggi, ma soprattutto i personaggi hanno trovato l’autore! Da leggere per intero.
Adadel: Scrittura elegante e temi ricercati che lasciano addosso quel velo di mistero, indispensabile per riflettere anche dopo la lettura.