Quasi il 76% dei miei “amici” di Facebook mi è completamente o parzialmente sconosciuto e certamente c’è chi sta molto peggio di me.
Ha un senso tutto questo?
Nel momento in cui scrivo la mia pagina Facebook ospita 199 “amici”, e forse è questo breve passo dal raggiungimento di una cifra importane e “tonda” come 200 a richiedere un momento di riflessione, verifica, critica e – specialmente – autocritica.
Tra i miei quasi duecento amici, molti – a loro volta – sono legati virtualmente ad un numero impressionante di persone. Anche ammettendo il caso di veri e propri virtuosi del PC che possano permettersi di trascorrere 24 ore al giorno davanti allo schermo, coltivare un tal numero di amicizie risulterebbe del tutto impossibile, anche solo per dare un’occhiata (impicciarsi) alle attività altrui. Se poi andiamo ad immaginare una corresponsione di interessi e notizie, una sorta di epistolario virtuale, possiamo facilmente immaginare come tutto questo castello sapientemente costruito da quel simpaticone di Mark Zuckerberg non possa risultare altro se non una enorme schedatura internazionale, un’ immensa banca dati del mondo che assume connotati e risvolti sui quali, forse, è meglio non indagare.
Per la comune serenità possiamo limitarci a spiegare il successo di Facebook e degli altri social network rispolverando il vecchio quanto sempre valido “Avere o Essere?” di Erich Fromm modificandolo in “Esserci o essere?”, cioè mutuando la modalità esistenziale del possesso (che dà potere) con quella della presenza (che è un grido di affermazione della propria esistenza).
Il tutto inteso come timido palliativo telematico per superare la frustrazione dell’impossibilità di “avere”, fatto non solo irrisolto oggi come ai tempi dello scritto di Fromm, ma che allo stato attuale delle dinamiche economiche si fa traguardo sempre più remoto.
Ma esserci non basta: l’affermazione della propria esistenza passa attraverso la quantificazione degli “amici”. Esistiamo proporzionalmente a quanti amici abbiamo, a prescindere dalla loro qualità, e questo basta a realizzarci. Senza renderci conto che è anche – e soprattutto – la qualità che infonde l’unico valore aggiunto in grado di mutuare realmente il concetto di “esserci” con quello conclamato di “avere”.
Con un po’ di vergogna (in fondo anch’io faccio parte di questo calderone, anche se con motivazioni con le quali tenterò – maldestramente – di giustificarmi) provo a dare conto di questa convinzione utilizzando statistiche personali, da prendere ovviamente come non universali.
I miei attuali 199 “amici” sono così suddivisi:
- 48 sono conosciuti personalmente (amici “de visu” e parenti)
- 32 sono conosciuti per notorietà o per fugaci rapporti sociali o di lavoro
- 119 (dico: 119!) sono del tutto sconosciuti
Il 59,8% di queste persone, in un certo senso, mi aiuta ad esistere (e viceversa), e questa è l’unica ragione per la quale ho a che fare con loro.
A mia parziale discolpa bisogna dire che, per la maggior parte, sono state queste persone – per motivi misteriosi ed imperscrutabili – a richiedere la mia amicizia, che non ho saputo né voluto rifiutare semplicemente perché l’apertura delle mie pagine è stata dettata biecamente da motivi, per così dire, “pubblicitari”: diffondere il mio sito personale (questo stesso www.linguaggi.eu) per condividerne i contenuti (e questi sì che mi rendono “vivo” ed “esistente”) che anche se non aggiornati quanto vorrei, sono parte di me e – spero – un tentativo di contributo culturale a vantaggio di tutti.
Senza contare il mio impegno a devolverne gli introiti pubblicitari a favore del Progetto “La Sosta” (vedi “Nella Società” alla pagina “Chi sono”).
Svelati con volo pindarico estrosamente giustificativo i motivi per i quali sono presente su Facebook (ed anche su Twitter…), è doveroso sottolineare che, personalmente, trovo questi degli ottimi strumenti per aggregare persone e quindi per divulgare beni, siano essi ideali o materiali.
Ma non riesco, malgrado tutta la sociologia possibile, a comprendere non dico la presenza in sé per sé della mitica “casalinga di Voghera” su Facebook, quanto piuttosto la sua affannosa ricerca di raggiungere il tetto dei 5000 amici tra i quali, tra l’altro, si perderà, senza speranza di essere ascoltato, il suo grido: “Ci sono anch’io!…”
Non chiudiamo i nostri account, ma ragioniamoci su. Tutti.
Raffaele Corte (2 luglio 2012)