Dedicato a tutte le vittime di tutti i terrorismi e di tutte le follie di cui è capace l’essere “umano”…
Oggi sono esploso.
Non ne avevo voglia, non l’ho chiesto a nessuno.
Non l’ho chiesto al mio dio, ipoteticamente lo stesso, identico, di chi mi ha fatto esplodere.
Non l’ho chiesto a quell’uomo (ma era un uomo?) che ha preferito distruggermi piuttosto che avermi per amico.
No, non l’ho chiesto proprio a nessuno!
Eppure sono esploso.
Al mio dio – che ipoteticamente (quanto falsamente) sarebbe lo stesso di chi mi ha fatto esplodere, ho solo espresso il desiderio di fare una passeggiata, di non pensare ad altro che muovere i piedi, di riattivare il sangue nelle vene dopo una giornata impegnata in un lavoro non particolarmente frenetico. Che nel bene o nel male mi permette di far campare la famiglia.
Contrariamente a chi mi ha fatto esplodere, che il lavoro non sa cosa sia, come non sa cosa sia un dio diverso dalla propria follia, che vive del proprio divertimento: far esplodere chi il divertimento lo deve conquistare fra un momento e l’altro di fatica, di impegno, di preoccupazioni…
E così sono esploso. Pazienza. Me ne faccio una ragione.
Anzi: di più! Quasi quasi questo mio nuovo status neanche mi dispiace… Per certi versi lo trovo persino stimolante.
Mi vengono in mente tutte le volte nelle quali il mio superiore (il “capo”) avrebbe preteso da me la soluzione in contemporanea a mille problemi, e al quale ho spesso risposto “non sono onnipresente” o “non posseggo il dono dell’ubiquità”, rischiando il licenziamento.
Ora sono multipresente e certamente non licenziabile. Parti di me sono rivolte verso i quattro punti cardinali, la mia visione è completa. Per la prima volta a 360 gradi.
Dio, quanto avrei voluto possedere questo dono in vita ed interezza!
E – vi giuro – ci stavo lavorando, e lavorando sodo.
Non ho mai immaginato neanche lontanamente di poter ragiungere il risultato progettato, ma – cazzo! – ci ho messo un bel po’ di impegno, trascurando troppo spesso anche moglie e figlia.
La mia famiglia, che non sono stato in grado di coinvolgere nel “progetto”.
Quella che sta piangendo – ora – un uomo dilaniato e per certi versi misterioso. Perché quando sono esploso ero solo, non volevo pensare ad altro che a muovere i piedi. Dopo l’ennesima lite provocata dalla mia ricerca del risultato progettato, che nessuno – compreso me – sapeva bene in cosa consistesse realmente.
E così sono esploso. Che stronzo!
È buffo. Tutto maledettamente molto buffo.
Ora ho una chiara visione delle cose, prima mi sentivo avvolto da una nebbia densa e soffocante.
Prima ero vivo e completo: avrei potuto fare qualcosa…
Ora sono un ricordo lacerato, ma cosciente di un qualcosa che non potrò mai mettere in atto.
Non potrò mai suggerire ad alcuno la soluzione al problema (che ho ben chiara nella mia mente – ormai – virtuale).
Non potrò fare in modo di evitare ad altri di esplodere per potersi rendere utili a rendere inoffensivo chi (falsamente) nel nome di un dio che è anche il loro (o forse no? Non è obbligatorio avere un dio: è obbligatorio avere una coscienza!) produce solo sangue e lacrime.
La persona dilaniata non serve a niente.
Quello che serve è la persona integra: dentro e fuori.
Dentro, perché è il dentro a guidare il fuori.
Fuori, perché gli eroi non possono più testimoniare con le azioni e con il dialogo e con l’intelligenza quello che è necessario a porre fine all’esplosione del nostro mondo…
Raffaele Corte (16 luglio 2016)