Storia di storie e di orrore
Alcuni miei amici di Facebook mi chiedono conto di un insospettato accanimento nei confronti dell’attuale primo ministro ungherese Orbàn, del suo governo e della sua avversione agli immigrati.
Alcuni miei amici (virtuali o reali che siano) conoscono a grandi linee la mia storia, e questo un po’ mi infastidisce, perché in realtà non ci ho capito molto neanch’io.
Ma in un certo senso – forse – il nocciolo della questione è proprio questo: la mia, da chissà quando, è sempre stata una famiglia “diasporica”, con solide basi in Ungheria (ma anche in Italia, come il mio cognome suggerisce chiaramente) e con altrettante solide suole di scarpe, e polmoni di ferro per sopportare le esalazioni dei treni a carbone.
Destinata a muoversi, a spostarsi. A migrare. Dal Canada all’Italia, dalle Francia agli Stati Uniti o all’Olanda. O all’eternità.
Credo di possedere pieno diritto di indignazione ripensando alla “migrazione” dei miei genitori.
Lui nato a Budapest, da un padre nato a sua volta a Budapest in virtù dello spostamento del mio bisnonno paterno dall’Istria austroungarica verso l’Ungheria che chiedeva Arte: scultore certo più sfortunato che maledetto, ha realizzato o contribuito a pezzi ammirati giornalmente da centinaia di turisti, ad esempio uno dei bassorilievi che ornano la base del monumento a Santo Stefano presso il Bastione dei Pescatori, ufficialmente opera di Alajos Stróbl, che astutamente utilizzò in modo anonimo il lavoro dei suoi “ragazzi di bottega”. Uno di questi era l’Hubert Corte di tre generazioni fa, per l’appunto.
Ma forse è meglio così, almeno il nome della famiglia non si va a mischiare con la vergogna nazista che l’Ungheria sta esibendo in questo periodo e alla quale (a quanto appare palesemente) non c’è opposizione che abbia la forza di reagire. Neanche con un “bù”.
Lei disinvolta contadinotta nata in quel di Szerencs, nel XV secolo fiorente cittadina di proprietà dell’onnipotente famiglia Ràkòczi e molto dopo “best top” nella produzione della cioccolata, cosa che probabilmente ha lasciato un segno anche sui miei gusti alimentari.
Si sono amati e sposati (lei poco più che ragazzina, lui un filo marpione) e successivamente hanno deciso di trasferirsi in Italia, cosa che non è stata una vera fuga in quanto mio padre – in virtù della storia di famiglia – possedeva cittadinanza italiana.
Ciò non ostante, non va dimenticato l’abbandono delle rispettive famiglie, delle amicizie, delle terre, degli odori, del cibo. Della propria vita, della propria storia.
Ma già: c’era il terribile comunismo (a questo punto mi preme sottolineare che mai e poi mai, personalmente, ho pensato che una qualche forma di comunismo nel mondo sia mai stata realizzata, ma continuiamo a generalizzare…) e quindi… Via verso lidi celesti, ariosi e “liberi”. Dove per anni sono stati tenuti sotto controllo dalla nostrana Polizia Politica.
E finalmente, nel ’56, anticipando un’invasione di ben altro spessore, arrivai io. Invasore e invaso, da allora ad oggi “contro”.
Da quel giorno ho navigato tra paprika e “szàlami”, cucina pesante e “chicche” gastronomiche, dolci meravigliosi di cui ancora oggi vado a cercare surrogati nella cucina altoatesina, solo per riempirmi delle sensazioni vissute in tante visite ai miei nonni, zii e cugini, visite complicate, fatte di visti e permessi e controlli di dogana, di una blindatura che non riuscivo a capire. Ma c’era il terribile “comunismo”.
C’era una blindatura politica.
Ora c’è una blindatura fatta di muri e filo spinato, assolutamente inutile (in quanto i migranti chiedono solo di passare, non certo di rimanere – cosa del tutto inutile considerando la situazione economica dell’Ungheria maledettamente affossata da un omuncolo troppo impegnato a salvaguardare la razza e l’etnia -).
Ora si sta ghettizzando l’Ungheria: niente da fuori, niente da dentro, niente dalla memoria di grandi poeti ed eroi. La principessa Sissi starà roteando a trottola nella tomba!
Ungheresi: scopate e proliferate per la diffusione dell’identità nazionale!
Ci aveva provato Hitler (con qualche possibilità) e ci ha provato pateticamente Mussolini.
Ma in questo caso, forse, Mussolini potrebbe apparire quasi come un genio politico in confronto a questo miserabile capo del nulla: votato da un popolo minuto e non opposto dall’opposizione.
Scusatemi, allora, la tristezza. E specialmente l’incazzatura…
Raffaele Corte (17 settembre 2015)